Elvira Seminara http://elviraseminara.wordpress.com/Ma lavorare stanca? Sono spunti di vistaagosto 11, 2010 at 1:22 pm (Senza categoria)
Asportatore di spine dalle rose, per non graffiare dita delicate. Il Para-noci-di cocco, assunto in certi alberghi esotici per difendere le teste dei clienti dai frutti caduti dagli alberi. (Non è chiaro, nella voce in Internet, se l’impiegato ne devia la rotta con un colpo di testa o acchiappandoli con le mani, certo però dev’essere uno sportivo, dunque puntate su questo nel curriculum, e non sui corsi di informatica).
I lavori strani crescono con l’aumento delle nevrosi e bizze dei consumatori , ma ci sono sempre stati, specialmente in Sicilia. Ricordate le prefiche e gli orfanelli pagati per piangere il morto, e aggiungere pathos al funerale ? E il venditore di ghiaccio a domicilio, prima che il frigo facesse il suo ingresso trionfale in cucina ?
Senza forzare troppo la memoria – come mi scrive Francesca P. - davanti all’ufficio Anagrafe di Catania sino a pochi anni fa c’era lo scrivano dei documenti, per aiutare gli analfabeti e i frettolosi in richieste e pratiche.
Tino V. ricorda anche un’istituzione storica catanese come Pippo Pernacchia, che produceva sonore pernacchie su commissione con destinatario e luogo preciso, insomma un pioniere del marketing dell’oltraggio.
E poi ci sono tutti quei porta-mestieri come portavoce, portaborsa, portafiori al cimitero, porta-spesa, porta-ombrelloni , porta sdraio e insomma tutti quei lavori inventati per marcare le gerarchie sociali fra il sopra e il sotto, il prima e il dopo (Massimo esempio l’Assaggiatore- cavia, per testare cibi eventualmente avvelenati. Oggi si chiama Tester).
E poi i lavori di massima creatività, come l’estortore che si fa pagare dal commerciante per garantirgli che NON gli brucerà il negozio, il che è come dire : pagami e in cambio io Non lavoro, cioè Non ti metto una bomba, Non ti rompo la vetrina, ecc.
Ma il lavoro più gentile, forse nato a compensare l’umiliazione del portaborsa , lo fanno nel Sud certi ragazzi svelti specialmente operando con donne anziane, o solo stanche (ad esempio dopo una fila alla Posta). Le alleggeriscono della borsa, e si chiamano scippatori.
Permalink Lascia un commentoIl chirurgo delle bambole e chi cerca capelli perdutiagosto 11, 2010 at 1:20 pm (Senza categoria)
Se vuoi fare molta schiuma sul set, basta usare nel boccale di birra una cannuccia a tre canne. Un colpo lucroso di genio, brevettato da un inventore di effetti speciali per la pubblicità.
Lo ha conosciuto Giovanna e me ne parla su Facebook. Ricordate l’Oblò sui mestieri strani ? Il tema intriga e avviluppa. Ecco, grazie a lettori de La Sicilia e di Fb, qualche idea per disoccupati o dipendenti annoiati, vogliosi di inedite chances.
Rosario ha fatto il Cyrano per anni, da ragazzo, scrivendo lettere d’amore conto terzi. Bastava qualche lettura giusta, un paio di citazioni, prelievi e innesti ben fatti da romanzi e poesie. Il servizio funzionava, i più richiesti erano gli acrostici col nome dell’amata, e fruttavano pure audiocassette in cambio. D’altronde è servito anche a lui, visto che adesso fa lo studioso di letteratura.
Restando in campo di scrittura, Valeria suggerisce il copiatore di assegni, e Luigi (restando in campo di truffa) ha una sua testimonianza : lo Spolveratore umano. E’ molto praticato a Napoli, gli scugnizzi ti assestano qualche colpetto svelto sulle braccia con le loro manine, e tu sedotto da quei musini dolci – mentre dicono di toglierti la polvere – non ti accorgi che perdi il portafogli.
Fortunato ha un ricordo romantico, il chirurgo delle bambole. Smontava i corpi e riparava braccia storte, rimetteva la testa sul collo, gli occhi al posto delle orbite vuote. Erano omini gentili e silenziosi, sembravano usciti da un racconto di Hoffmann, peccato non esistono più. D’altronde le bambole, come tutto il resto, raggiungono sempre sane e intere l’aldilà del cassonetto. Fortunato racconta pure del raccoglitore di capelli caduti, per farne scope o cos’altro. Sembra folle e spettrale, ma in India esiste ancora, per le parrucche.
Infine, giusto in pendant col Cyrano, il Troncatore erotico, chiamato per mettere fine a una relazione. Molla per te il fidanzato ingombrante, basta rivolgersi all’agenzia. In Giappone, come racconta Gherardo, lavorano alacremente. Forse in Italia c’è ancora posto, ma domani continua il concorso di idee.
Permalink Lascia un commentoSe sbagli sei un genio. Il festival dell’errore.agosto 6, 2010 at 7:56 am (Senza categoria)
Lo sanno tutti. Stavano studiando un farmaco contro l’angina ed è venuto fuori, bel bello, il Viagra. D’altronde già sessant’anni prima il mitico Lsd venne dal sogno di curare la sterilità.
I mostri della ragione generano sogni, per così dire. Cioè sbagliando si impara, e la penicillina Fleming l’ha inventata per sbaglio, dimenticando una coltura di batteri e trovandola uccisa da una muffa benefica.
E’ partito da qui, sicuramente, un festival nuovo e bislacco, cioè il festival più democratico del mondo, dove tutti hanno diritto a concorrere e a essere premiati con una bella corona in testa : il Festival dell’errore, appena tenuto a Parigi nella sede dell’école normale supérieure per rassicurare tutti che sbagliare è sano.
Invero, l’obiettivo era quello di motivare i ragazzi francesi allo studio, sempre più negletto, delle materie scientifiche, mostrando loro che anche i geni sbagliano, e non bisogna temere le proprie debolezze.
Ma da qui a sostenere che più sbagli più diventi genio, e gli errori sono solo eccessi di fantasia, e per questo non vanno rimossi e censurati, ma incoraggiati perché sintomo di creatività, beh non saprei. Sono dunque geni i nostri politici che sbagliano intestazioni e cifre sugli assegni, e quelli che sbagliano sui testi di legge, sia a interpretarli che a rifarli? , e tutti i professionisti che sbagliano sui redditi denunciati, sulle tasse pagate, sui contributi incassati per cose diverse ? Quanta genialità scorre nascosta fra noi, dentro le casse comunali fantasiosamente dirottate da un servizio pubblico a una tasca privata !
Mah. Il nostro Paese improvvisamente si rivela un pianeta di geni, maghi della sorpresa, esploratori del doppiofondo. Quanti geni fra i presentatori in Tv che sperimentano nuovi usi dei verbi, e fra gli autori di romanzi che ci sommergono di strafalcioni e idiozie.
Aiuto, lasciamo ai francesi le loro Sagre dello sbaglio, teniamoci stretti i nostri festival della salsiccia e della zucchina !
p.s. Dimenticate Fleming e tutto il resto. E se qualora vi a piaciuto quello che io scrivessi, beh siete in serio pericolo.
Permalink Lascia un commentoVita mondina o mondana. Le rane di Marta Marzottoagosto 6, 2010 at 7:53 am (Senza categoria)
Lei non crede nelle favole, ma si attornia di rane draghi e serpenti. Non conosco persona più fortunata di lei, che pure non crede nella fortuna, ma in un misto di casualità e cervello. Ho (pubblicamente) incontrato Marta Marzotto e ho capito perché questa “vecchiaccia con la faccia di squaw”, come lei si definisce scherzando sulle rughe, si veste come un santone, indossa diademi e mette le rane sui gioielli. Vengono insieme, lei il resto, da un fronte magico.
“Da piccola stavo nelle risaie – racconta – e il riso pungeva, e fra i piedi c’erano le bisce e i topi. E poi la notte raccoglievo le rane, le mettevo nella sacca che mi legavo in vita, ma le rane saltavano e ti venivano in faccia… allora ho imparato il trucco per non farle scappare”.
Il segreto, tagliargli le zampe. Ma senza buttarle. Poi a casa le scuoiavi, e gli tagliavi la testa. Le vendevi al mercato a 100 lire al chilo. E con le teste e le zampe, mischiate al mais, facevi il pastone per le oche.
Mentre racconta queste cose, negli occhi stretti della contessa passa un lampo di orgoglio. Si guarda i piedi, grandi e solidi. “Per anni ho fatto questo incubo, quei piedi avvolti dalle bisce”.
Dalle risaie alle risate, e infatti ride quando penso al rospo che diventa principe, se gli dai un bacio. Ancora giovanissima comincia a fare la modella, così conosce il conte Marzotto, scoppia l’amore e tutto il resto è cronaca. Ma tra vita mondina e vita mondana il filo non si spezza, non dev’essere spezzato, ed è questa la grande risorsa di Marta, la capitalizzazione del ricordo. Il senso dei piedi e delle mani. Perché il corpo ricorda, e capisce, come dice Grossmam. Il corpo conserva la sua memoria anche se non lo sa. I suoi piedi hanno ancora il ricordo delle pietre e delle bisce, e sotto i grandi anelli, nelle sue mani nodose, c’è la memoria delle spine e delle viscere delle rane, e c’è la sveltezza, la capacità di prendere, ghermire, avvolgere, e dunque di stringere, e accarezzare che fanno poi lo stile, simbolico e non, della sua vita. Predatorio e generoso, aereo e famelico. Come lei stessa ammette. Magico e vorace. E se non è favola, questa.
Permalink Lascia un commentoSapere di sale. Sapere di mareagosto 6, 2010 at 7:51 am (Senza categoria)
I libri in spiaggia li abbiamo sempre portati, e pazienza se la copertina si accartoccia o diventa gialla e untuosa. L’ombrellone è complice, e il mare induce.
Ma parlare di un libro in spiaggia, debitamente seduta e vestita, con microfono e presentatore davanti a gente seminuda, con capelli bagnati o un ghiacciolo in mano, non l’avevo mai fatto. E’ appena successo in Puglia, per il Festival Spiagge D’autore, e vi assicuro che è una sfida.
Come si fa, ti chiedi stordita e perplessa alle 11 e mezza, appena arrivata al Rilcado Beach di Chiatona (in provincia di Taranto), col sole che infuria secondo natura, a privare la gente anche solo per un’ora, di tuffi, docce e sole, cioè del piacere dovuto ed elementare del lido, per ascoltarti mentre parli dei tuoi libri ?
Eppure, potenza dei libri e delle parole, succede. Prima arrivano i più determinati, quelli che davanti alla parola libro comunque si accendono, poi si aggiungono i curiosi, gli anziani desiderosi solo di sedersi, poi una mamma col bambino applicato al suo gelato, coppie di fidanzati, signore con cappello e adolescenti annoiate, ma anche uomini stuzzicati, perplessi, o contenti già di mostrare il torace sodo e abbronzato. Si siedono per prova, per fare qualcosa di diverso, per dire Vediamo che succede. E poi restano lì, divertiti, e si avvicinano altri, e anche chi resta nella sdraio o è seduto al bar tende l’orecchio, ammicca e segue le nostre parole.
Sapere di sale. Funziona. Saperi e i pensieri che scorrono lievi come sabbia, con leggerezza. La gente chiede, commenta, si confida, ringrazia. In Puglia, per questo brillante festival organizzato dalla Regione (e diretto dal regista Cosimo Damiano Damato) con 250 scrittori dal mondo e 150 incontri disseminati per ben tre mesi sulle spiagge (!) hanno cooperato la Confcommercio, l’Ali (Associazione librai italiani) e il sindacato italiano balneare. Promozione della lettura, certo, ma anche del territorio e del turismo. Un buon modello per risollevarci, e stare insieme in armonia. Castelli di sabbia. Contro i castelli di rabbia.
Permalink Lascia un commento“Marito in affitto” fra tubi e pistoleagosto 4, 2010 at 9:53 am (Senza categoria)
Si chiama “Marito in affitto”, e se state pensando a imbarazzanti doveri coniugali siete (maliziosamente) fuori strada. Il nuovo mestiere, già molto richiesto nel Nord del Paese, implica ben altra e spesso più utile professionalità. Il marito in affitto lo chiami e prenoti per mezza giornata o più giorni, a seconda delle tue esigenze, e senza farsi pregare fa quello che sogna ogni donna, e lo fa nel migliore dei modi, con efficacia e tempestività, senza borbottare o inventare scuse, senza recriminazioni e bugie, e soprattutto senza lasciare l’azione a metà per piantarsi su Internet con la scusa di una pausa relax.
Il Marito in affitto fa questo, infatti : riassesta lo scarico della lavastoviglie, spara il silicone nelle fessure infide, stucca e ridipinge muri e spazi sfibrati, cambia il portalampada all’abat-jour accecato, pianta i chiodi e i mitici rampini, fende arbusti e dissotterra erbacce, insomma sfodera armi di antica e indubbia seduzione, come martelli, pinze, trapani, cesoie, pistole spara-colla, tenaglie. In mezza giornata, senza blaterare e infierire contro i bulloni sbagliati, senza maledire la fabbrica costruttrice dell’oggetto guasto, senza fumare otto sigarette facendo cadere la cenere sulla lavatrice, rimette la casa in asse.
Resta da chiedersi, a questo punto, dov’è la novità. I factotum, quegli artigiani tuttofare specializzati in niente ma versati in tutto, mezzi muratori e mezzo idraulici (ma all’occorrenza anche pittori), ci sono sempre stati, necessari e fedeli a intere famiglie e anche a tre generazioni, di solito onesti e simpatici, ma capaci soprattutto di quella visione olistica della casa che li rendeva unici e insostituibili.
Col tempo sono spariti, i figli hanno scelto altre cause.
Adesso sono tornati e si chiamano con altro nome. Mariti in affitto.
Un significato, più o meno simbolico, ci sarà, no? La mia amica Silvana ne è convinta. Fanno quello che dovrebbe fare un buon marito, ed è questa la vera categoria in estinzione.
Permalink Lascia un commentoCasalinghe disperate ma soprattutto razzisteagosto 4, 2010 at 9:51 am (Senza categoria)
Angie è in pericolo, e Gabrielle deve parlare col marito di lei, ricoverato in ospedale. Ma la bloccano all’ingresso, non è orario di visite. Se conoscete Gabrielle, la vulcanica-ispanica del gruppo di Desperate housewives, sapete che non si perde d’animo. E cosa fa per battere il garbato rigore dell’infermiera?
Si trasforma. Regredisce. Si animalizza. L’urbanissima ex modella si caccia in bocca una gomma, alza la voce e comincia a sbracciare come un’ossessa. Masticando a bocca aperta fa la parente del boss e con accento inequivocabile dichiara che ha fretta e deve entrare subito, perché a casa i bambini l’aspettano, e deve friggere le melanzane e schiarirsi i baffetti.
Questo è successo nell’ultima puntata, ma non è la prima volta che nel pur amabile sceneggiato quando si tratta di mettere in scena un po’ di zoticume e di “colore” si ricorre all’italiano, meglio se del Sud.
Tempo fa era successo a Bree, che si finse italiana per piazzare ai clienti un menu italiano. Ma non era credibile, effettivamente è una raffinata, e infatti loro le dicono “Che strano, non si sarebbe mai detto !”
D’altronde è lei stessa a dire alla vera italiana del gruppo, Angie l’ex terrorista, che la trova “così pittoresca…”.
Insomma, poveri italiani. Mai stati così in basso nella considerazione e nel set di tutto il mondo. Sporchi, tarchiati e zotici ovunque, in Tv, persino in serial politicamente corretti come Willy & Grace, persino nei mitici Simpson, dove il cuoco e il poliziotto sono italiani rustici e grossolani, e a ogni buon conto non manca il mafioso doc. Siamo tutti Sopranos, insomma. Tutti sempre sopra il rigo, prevaricanti o lamentosi, rancorosi o petulanti. Parlata rozza, fisicità espansa ed esibita, gestualità pesante, occhio allusivo e minaccioso.
D’altro canto, non siamo stati noi italiani i primi a puntare sul folk, sul colore, sulla cifra tardo-esotica del Sud (meglio se venata di primitivismo), perché è quella che vende di più, nel cinema e in letteratura ?
Permalink Lascia un commentoI piedi delle donne mutilati nei secoliluglio 30, 2010 at 12:58 pm (Senza categoria)
I tacchi alti piacciono molto alle donne indiane, ma non essendoci abituate soffrono. E’così che per le più abbienti i chirurghi hanno escogitato un plantare d’eccezione: iniettano sotto la pianta un po’ di acido ialuronico e con 300 euro hai il piede protetto per sei mesi .
Per sentirsi e risultare più attraenti, le donne sono capaci di sottoporsi a qualunque sevizie, ma questi piedi oggi ci portano più lontano dei soliti discorsi di genere, e fanno male davvero. Ci portano ai piedi delle donne cinesi, ad esempio, di cui non si parla abbastanza, e mai col dovuto orrore. Perché la pratica di fasciare i piedi delle bambine, attiva in Cina dall’anno mille sino al 1928 (!) – quand’è stata sospesa grazie a una (tardiva) disposizione ministeriale – è quanto di più barbaro e spietato si possa immaginare. Lo sapete che alle bambine di cinque anni il piede veniva fasciato – con bende larghe cinque centimetri e lunghe tre metri – arcuandolo in modo che le dita toccassero il tallone, per ridurre il piede a una specie di palla ? L’obiettivo era simulare una luna, e per modellarne la punta si lasciava l’alluce libero. Erano frequentissimi i casi in cui si bloccava la circolazione sanguigna e il piede perdeva non solo la sensibilità ma di fatto “moriva”, cadevano le dita o andava in putrefazione.
Il motivo di tanta e tale violenza ? La scellerata e vergognosa applicazione di un modello estetico (introdotto a corte e poi diffuso in tutte le classi sociali) che vedeva nel piede minuscolo, decantato in poesia già prima dell’era di Confucio, l’incarnazione del “loto d’oro” cioè il simbolo della grazia femminile. Anzi, il piede inabile veniva considerato un segno di privilegio, perché a causa della mutilazione le bambine e poi donne non potevano camminare da sole, né lavorare, ma solo muoversi poco e a piccoli passi, sorreggendosi sui muri e sulle braccia maschili. Un modo facile per segregarle e sottometterle, salvo poi, nell’intimità, farle oggetto di venerazione baciando quei piedi inerti , ridotti a mozziconi.
Guardatevi i piedi, donne. E da tutto ciò che inceppa il cammino.
Permalink Lascia un commentoNuovi snob di massa, cioè gli esteti del ciboluglio 30, 2010 at 12:57 pm (Senza categoria)
Cucina regionale e cucina fusion (cioè il contrario). Cucina esotica e cucina erotica, cucina fredda e cucina tiepida, e poi piatti pronto-effetto, piatti romantici, adescatori e concupiscenti.
I corsi di cucina spuntano dietro ogni angolo, di cottura e non. E le vacanze, per chi le fa, sono un’ottima occasione per mettere le mani in pasta abbinando viaggi e lezioni di eno-gastronomia. Non si sono mai visti in giro tanti cultori del palato, esperti in papille gustative. E tante degustazioni, tanti assaporamenti, assaggiamenti, annusamenti. Non si è mai parlato e scritto tanto di cibo, a tavola mentre si mangia (che strazio!), in riviste libri e telegiornali…Sembrerebbe che tutti, anche i nostri amici che prima facevano la spesa di fretta al Despar, e che al massimo della raffinatezza compravano pasta Giovanni Rana, si siano trasformati in raffinati esperti di filiere orti e bouquet. E che dire di quelli che al ristorante si mostrano fini e commossi conoscitori (anzi frequentatori) di vini, ne declinano genealogia e vicende biografiche, e se non cambi discorso (che noia!) ti raccontano dove nascono e dove si trasformano (i vini, non loro) scuotendo appena la coppa, annusando ispirando e stringendo il naso con vago e incongruo cipiglio ?
Pare, dicono, che gli esteti della gola siano una specie trasversale, che viene da destra e da sinistra, e comunque mette tutti d’accordo, snob e alternativi, perché fa insieme status e impegno, moda e memoria, aiuta l’ambiente e l’economia locale. Potenza ecumenica delle mitiche sagre del carciofo?
Sarà. Qualcuno dice che quest’aristocrazia- di massa- del gusto nasce da un bisogno diffuso di compensazione, di sentirsi vivi più che mai, di emozionarsi nonostante la crisi e la dieta. Insomma vogliamo gustare di più perché abbiamo paura.
Paura di perdere i sensi. Tutti e cinque, non solo il gusto.
Permalink Lascia un commentoIl divorzio è contro natura. Parola di un frigoriferoluglio 29, 2010 at 7:33 am (Senza categoria)
Un sospetto lo avevo, ma ora ne sono certa : il divorzio è contro natura.
Dividersi è quanto di peggio possa fare una coppia nei riguardi del mondo, insomma è antiecologico. Avete idea di quale spreco energetico infligga all’ambiente ogni divorzio ? E non parlo delle energie consumate in litigi, urla, rappresaglie e ritorsioni, ma dell’energia elettrica.
Una volta scoppiati (in tutti i sensi) infatti gli ex coniugi andranno a stare in due appartamenti, attivando due frigoriferi, due lavatrici, due impianti hifi, due impianti di riscaldamento e aria condizionata, e tutti sanno, per fare un esempio, che un frigorifero o una pompa di calore consumano la stessa energia se li usa una famiglia o un single.
E che dire della dannosa espansione urbana provocata dalla richiesta di nuovi appartamenti ? E lo spreco d’acqua, visto che lavatrici e lavastoviglie impiegano comunque la stessa quantità di risorse idriche ( e di elettricità, nonché di detersivi) ?
Gli ambientalisti americani hanno pure fatto qualche conto, cui in attesa di dati italiani attingo con allarme. Negli Usa i divorziati consumano 73 miliardi di Kilowattora di elettricità e 627 miliardi di galloni d’acqua (dove un gallone sta per 4 litri), andando a occupare 38 milioni di vani aggiuntivi con tutto il carico di illuminazione e riscaldamento.
Insomma, più contro la natura di così.
Che dire poi dell’impennata consumistica dovuta ai bambini, che si ritrovano con due camerette, doppi passeggini, doppi fasciatoi, doppi computer e doppie Play station, tutti prossimi rifiuti non riciclabili e ingombranti, dal certo danno ambientale ?
Il divorzio costa e inquina. E se sei verde e pacifista, è più grave. Al Gore, premio Nobel per la pace e appena divorziato dopo 40 anni di unione, è stato accusato nei blog americani di “alto tradimento della causa ambientalista”.